Finìa l’estate

3 Settembre 2014 0 Di Pizzi

 

Finìa l’estate

Lo sento dire praticamente da metà luglio, e anch’io l’ho detto per scherzo ogni volta che la temperatura scendeva sotto i 30 gradi, ma adesso è quasi vero. L’estate è finita, ma non perché ieri a Licata c’era un vento freddo che sembrava aprile: oggi è tornato a splendere il sole, e a quanto ho capito c’è ancora parecchio tempo prima di mettere a riposo i costumi da bagno.

 

L’estate è finita, ma non è neanche perché sono tornato a lavorare a tempo pieno dopo un mese di più o meno vacanza. Cioè sì, anche quello, ma è poco importante.

Il punto è che l’estate è finita con le partenze. Vivere qui mi ha insegnato che il significato di arrivi e partenze, di andare e tornare, è relativo. A Torino si parte per andare al mare e dopo un po’ si torna in città, da qui invece la visione è speculare: chi parte lo fa per andare via, e non per qualche settimana di ferie.

 

Sono partiti, o stanno per partire, direzione aggermania gli emigranti di lunga data, quelli che per anni ho sentito imitare da Nino (e poi da Sparda e tanti altri) e che quest’estate ho imparato a riconoscere dalla simpatica inflessione teutonica nella parlata in licatese stretto. Per strada li si riconosceva dalle targhe dei macchinoni, e mi sono ricordato di una targa tedesca SU – CA 178 vista anni fa a Torino: qui probabilmente farebbe ancora più ridere, ma non ho notato niente di simile (a Siegsburg forse non ci sono licatesi).

 

Sono partiti, o stanno per partire, anche gli emigranti italiani. Quelli che da poco o da molto hanno lasciato Licata come i miei genitori lasciarono Cerignola e Polignano parecchi anni fa: per andare a lavorare al Nord. Anche per loro le imitazioni non mancano, in particolare per quelli che a Mlano alternano un “figa” e un “mingia” come intercalare.

 

Ma se l’estate finìa, non me ne vogliano gli altri, è soprattutto perché sono partiti o stanno per partire un sacco di amici che al Nord (o all’estero) ci tornano “in retromarcia”, o per meglio dire con volto e mente che restano in direzione casa, verso la Sicilia: sono gli universitari. Quelli più o meno già laureati e che hanno trovato lavoro, ma che anche se non lo dicono vorrebbero quasi sempre tornare qui. Quelli al secondo o terzo anno di facoltà, ormai quasi esperti di vita polentona (che poi, da qui, il Nord inizia a Roma), che forse a volte fingono di sentire meno la mancanza della loro aria e dei loro sciauri.

E poi ci sono quelli come Traspadano e Cipollino. Per me due di famiglia, per le statistiche due neo diplomati che per la prima volta lasciano questa terra per trovare una nuova casa, nuovi amici, nuovi libri, nuove esperienze e quindi sì, un nuovo pezzo di strada.

 

Io ho vissuto oltre trent’anni in una grande città del Nord. Cinque mesi dopo il mio trasferimento qui porto ancora i segni del settentrione nel mio modo di parlare, nella mia puntualità estrema (anche se…), forse anche nei miei vestiti. Io lo so cosa significa vivere a quelle latitudini, e anche se me ne sono andato capisco benissimo che ci si possa innamorare di una vita così diversa. Chissà, forse Traspadano diventerà un esperto di sushi e inventerà qualche specialità con i rizzi, e magari Cipollino diventerà uno street artist metropolitano. Tutto può succedere, se lo si vuole davvero.

 

L’importante, appunto, è che ci sia un desiderio e non una rinuncia. Se volete trasferirvi dove la gente pensa che Licata sia la Vigata di Camilleri fatelo pure, carusi, ma solo se lo volete veramente (e già che ci siete spiegate loro com’è la faccenda). Guai, però, se vi sentirete in dovere di non tornare, o peggio se vi rassegnerete a vivere lassù perché “ch’amm a ffari a Licata?”.

 

Finìa l’estate, picciò, ma lei tornerà sempre, come tornano la primavera, l’autunno e anche l’inverno. Qui, lì, ovunque: è il mondo, ma questo non significa accettare le sorti avverse, tutt’altro.

Piuttosto significa che potete sfruttare ciò che il mondo vi offre per fare quello che sentite di voler fare. Lo so, è un concetto difficile da comprendere, ma non sono il solo a pensarla così. Evidentemente è lo stesso pensiero che ha animato Nino, Gino, Calogero e Sparda quando hanno deciso di fondare Radio Battente, senza la quale non solo non avrei a disposizione un ufficio, dei microfoni e l’opportunità di parlare a tutto il mondo: senza la radio è molto probabile che non avrei mai preso la decisione di trasferirmi, lo sapete.

In questa radio abbiamo capito che anche senza una metropolitana e dieci Mac Donald’s si può fare comunicazione, cultura, arte, valorizzazione del territorio, intrattenimento. Le cose su cui dovrebbe puntare tutta l’Italia, insomma, e che a maggior ragione andrebbero fatte qui e non solo nei soliti posti.

 

Va be’, insomma, avete capito, non c’è bisogno di insistere mi sa. Traspadà, Cipollì e tutti gli altri, vi saluto: andate pure al Nord ora che l’estate è finita, ma non fate i ciolla. Comportatevi bene, vi aspettiamo qui, di cose da fare ce ne sono quante ne volete.

 

Pizzi (gattooooo)

 

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