La xenofobia è non aver mai visto una scarpa

16 Febbraio 2015 0 Di Pizzi

 

Fino a un anno fa, per me gli sbarchi di immigrati “sulle coste siciliane” erano solo una notizia al telegiornale. Una drammatica notizia, ovviamente, ma qualcosa di distante e difficile da comprendere nella sua completezza stando mille e oltre chilometri più a nord. Poi, la scorsa estate, molto è cambiato grazie a una scarpa.

 

Bianca, di similpelle, da ginnastica, con qualche striscia blu e rossa, come i colori del mare e del sangue. L’ho notata in spiaggia, sotto casa al Pisciotto. Ho l’abitudine lava-coscienza di lasciare la spiaggia con anche solo un mozzicone in più dei rifiuti che ho prodotto, e quella scarpa mi ha fatto prima incazzare, poi pensare, invertendo forse l’ordine corretto.

“Ma chi minchia può essere così coglione da buttare una scarpa in spiaggia?” mi chiedevo mentre mi avvicinavo per raccoglierla. “Sparti (per giunta) è nuova” ho pensato quando l’ho presa e ne ho notato la pulizia, così in contrasto con un’altra mia abitudine, quella di non lavare le scarpe finché non arrivano i NAS.

 

La scarpa, però, non era nuova, e non aveva fatto un giro di lavatrice prima di finire nella sabbia. Aveva attraversato il mare, naufragando a pochi metri dalla mia vita. “Sicuro era di qualche disperato che l’ha persa nel viaggio” mi ha confermato l’arch. Franco, quando gliel’ho mostrata.

“Disperato”. Così, qui, ho sentito spesso chiamare gli immigrati che approdano “sulle coste della Sicilia”. A volte senza scarpe, a volte senza vita. Disperati, persone senza speranza che non badano molto alla dialettica politica sull’opportunità o meno per il nostro Paese di salvarli e accoglierli. Persone che non vogliono morire, e che rischiano tutto pur di continuare a vivere. Persone che lasciano le proprie case non perché vivono in una città piovosa e inquinata come Torino, Milano o Berlino. Anzi, è in posti come quelli che sognano di continuare a esistere. Anche a costo di abbandonare il proprio sole e la propria terra. Pur di raggiungere la nostra fredda (in più sensi) Europa, questi disperati spendono quasi tutti i soldi che hanno per salire su barche che sono vere scommesse tra loro e la propria vita. E che con quei pochi soldi che restano, magari, comprano un paio di scarpe.

La xenofobia non è una colpa. È una paura, e come ogni paura va superata affrontando e conoscendo e imparando. Non prendiamocela con gli xenofobi, aiutiamoli come si fa con chi ha paura di prendere un aereo o di salire su un ascensore o di qualunque cosa sia sotto il nostro cielo, o sotto il mare. Non si è mai visto qualcuno “guarire” da una fobia grazie a chi lo insulta e lo prende in giro con disprezzo.

Da parte mia posso solo scusarmi per il mio scarso contributo alla causa: non ho avuto proprio il coraggio di fotografare quella scarpa.

 

Pizzi